Vigliacchi
Ieri un gruppo di vandali ha distrutto la testa della statua dedicata al magistrato Giovanni Falcone, a Palermo. Hanno utilizzato il mezzobusto come ariete per rompere il portone di un istituto scolastico.
Gesti, o meglio, segnali che lanciano un messaggio chiaro: la mafia non è mai stata sconfitta e ancora oggi si fa sentire. Semplicemente abbiamo smesso di parlarne come in passato perché la mafia non uccide più. O meglio, uccide diversamente e, soprattutto, silenziosamente.
Noi, che spesso notiamo qualcosa ma ce la caviamo sempre con un "ma sì, tanto è così dappertutto", continuiamo a parlarne e continueremo a farlo anche in futuro. La riscossa del popolo italiano contro questa piega sociale, iniziata con la strage di Capaci, sembra essersi arenata. L'onda emotiva carica di rabbia e desiderosa di giustizia, si è spesso infranta contro gli scogli del sistema burocratico, o peggio, del clientelismo.
E noi siamo qui. Comuni cittadini che assistono ad una guerra perlopiù invisibile. L'aspetto educativo, il lavoro svolto nelle scuole, non basta ad assecondare il processo di crescita culturale di una realtà che agisce sulla base di un sistema costruito con un preciso scopo: quello di "essere lo Stato", non di combatterlo.
Nell'ombra, ogni giorno, migliaia di persone oneste e coraggiose combattono questo sistema. Spesso vengono lasciate sole. Per questo molti gettano la spugna cedendo alle lusinghe della criminalità organizzata. Il guadagno facile. L'aspettativa di essere al di sopra della legge perché tanto lo Stato, quello legittimo, è assente. Quel poliziotto che ti dà la caccia guadagna 1.500 euro al mese? Qualcuno sarà disposto a darti il triplo per fregarlo.
Chi ha distrutto quella statua pensa di aver compiuto un gesto intelligente. In realtà non lo sa ma ha solo intrapreso la via più semplice, quella che solo i vigliacchi sono disposti a percorrere.
Gesti, o meglio, segnali che lanciano un messaggio chiaro: la mafia non è mai stata sconfitta e ancora oggi si fa sentire. Semplicemente abbiamo smesso di parlarne come in passato perché la mafia non uccide più. O meglio, uccide diversamente e, soprattutto, silenziosamente.
Noi, che spesso notiamo qualcosa ma ce la caviamo sempre con un "ma sì, tanto è così dappertutto", continuiamo a parlarne e continueremo a farlo anche in futuro. La riscossa del popolo italiano contro questa piega sociale, iniziata con la strage di Capaci, sembra essersi arenata. L'onda emotiva carica di rabbia e desiderosa di giustizia, si è spesso infranta contro gli scogli del sistema burocratico, o peggio, del clientelismo.
E noi siamo qui. Comuni cittadini che assistono ad una guerra perlopiù invisibile. L'aspetto educativo, il lavoro svolto nelle scuole, non basta ad assecondare il processo di crescita culturale di una realtà che agisce sulla base di un sistema costruito con un preciso scopo: quello di "essere lo Stato", non di combatterlo.
Nell'ombra, ogni giorno, migliaia di persone oneste e coraggiose combattono questo sistema. Spesso vengono lasciate sole. Per questo molti gettano la spugna cedendo alle lusinghe della criminalità organizzata. Il guadagno facile. L'aspettativa di essere al di sopra della legge perché tanto lo Stato, quello legittimo, è assente. Quel poliziotto che ti dà la caccia guadagna 1.500 euro al mese? Qualcuno sarà disposto a darti il triplo per fregarlo.
Chi ha distrutto quella statua pensa di aver compiuto un gesto intelligente. In realtà non lo sa ma ha solo intrapreso la via più semplice, quella che solo i vigliacchi sono disposti a percorrere.
Nicola Seppone
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